I PLEBEI


Plebei (singolare plebeo, in latino plebs, plebis) nell'antica Roma erano la massa (quasi sempre povera) dei cittadini romani appartenenti alla classe della plebe, distinti dai privilegiati (e ricchi) patrizi.
Epoca monarchica

La distinzione originria tra plebei e patrizi è sconosciuta. Si è ipotizzato che patrizi erano coloro che per primi abitarono Roma già in epoca monarchica, cioè che facevano parte delle così dette gentes originarie.
Epoca repubblicana

Il termine plebe entra in uso in epoca repubblicana in contrapposizione ai patrizi. Il racconto tradizionale, la cui fonte primaria si trova nell'opera Ab Urbe condita libri di Tito Livio, narra che i patrizi, una volta preso il potere esecutivo detronizzando Tarquinio il Superbo, cacciando definitivamente la monarchia nel 509 a.C., si arrogarono il potere di limitare ai soli componenti del loro Ordine il governo della città - per un anno - con il titolo di Console. Essi infatti, in quanto discendenti dai patres, sarebbero stati gli unici a detenere gli auspici, cioè a poter interpretare il volere degli dei, e dunque ricoprire le magistrature cum imperio. Inoltre, con l'introduzione da parte di Servio Tullio dei comizi centuriati, si era fatto in modo che il voto dei plebei avesse un valore nettamente inferiore. Il voto infatti non era più per testa, ma per centuria, solo che le centurie della quinta classe, cioè quella dei più umili, erano numericamente molto superiori, tanto che Cicerone affermava che una centuria delle classi inferiori conteneva quasi più cittadini dell'intera prima classe. I plebei erano esclusi dai collegi religiosi e dalle magistrature. Erano suddivisi in gentes e tribus (tribù (storia romana)), servivano nell'esercito e potevano diventare tribuni militari.

i primi due secoli della Repubblica (V-IV secolo a.C.) avvenne il Conflitto degli Ordini che nacque dal desiderio della plebe di raggiungere le più alte cariche governative e la parità politica. Nel 494 a.C. ci fu la prima ribellione della plebe, che ottenne la concessione di un'importante magistratura, quella dei tribuni della plebe (tribunus plebis), con i poteri di auxiulim e intercessio (il diritto al veto), nonché la prerogativa dell'inviolabilità, e la creazione del Concilio della Plebe (concilium plebis, 494 a.C.), assemblea riservata ai plebei e sottoposta ai Comitia Tributa (una delle assemblee con poteri legislativi e giudiziari). Un importante passo avanti fu anche la redazione da parte dei decemviri delle Leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges, 451-450 a.C.), una raccolta di leggi scritte volte a limitare le interpretazioni di parte, affisse nel Foro pubblico. Proprio per questo esse furono determinanti, anche se si limitavano alla trascrizione del mos nel ius: prevedevano per esempio ancora il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei. Tale divieto fu abolito nel 445 a.C. con la promulgazione della Lex Canuleia.

Dal 421 a.C. la carica di questore divenne accessibile alla plebe: si trattava di una conquista importante, perché chi era stato questore entrava a far parte di diritto del Senato.

Dal 367 a.C. con le leggi Licinie-Sestie (dai tribuni della plebe: Licinio Stolone e Sestio Laterano) venne stabilito che:

   1. i plebei potevano accedere al consolat, anzi, ogni anno uno dei due consoli doveva necessariamente essere un plebeo (pratica non sempre seguita, ma la cosa importante era poter accedere al consolato);
   2. il possesso dell' ager publicus da parte dei privati non doveva superare i 500 iugeri [(125 ettari). Questa legge prevedeva una redistribuziione delle terre, prerogativa dei patrizi, cosi che anche i plebei potessero usufruire delle terre coloniali];
   3. doveva essere limitata l'usura per i debiti contratti dai plebei con i patrizi.

Dal 337 a.C.i plebei poterono accedere alla pretura. A partire dal 320 a.C. tutte le magistrature divennero aperte anche ai plebei. Nel 300 a.C. la Lex Ogulnia permise ai plebei di accedere ai collegi sacerdotali (pontificato e augurato). Lo status dei due gruppi si andò parificando, finché nel 287 a.C. con la Lex Hortensia, dopo un'ennesima secessione della plebe sul Gianicolo, si ebbe la formale parità tra plebei e patrizi, in quanto i plebiscita , ovvero le deliberazioni dell'assemblea della sola plebe (concilium plebis), ebbero valore automatico di leggi, anche senza approvazione senatoria.

Nel I secolo a.C. il patriziato, che si stava progressivamente estinguendo, venne ampliato con l'immissione di nuove famiglie, le più ricche tra la plebe, nel Senato.

 
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera