Cibi del Banchetto

Se si confrontano le ricette di Columella e di Apicio, le prime dedicate ai ceti sociali meno abbienti, le seconde specchio dell’alimentazione dei ricchi, appare chiara la complessità di queste ultime, determinata dall’uso frequente del garum e di un gran numero di ingredienti, di cui alcuni poco comunì. Il pranzo descritto da Apicio consisteva in più portate: si apriva con gli antipasti e si concludeva con il dolce.

Alcune ricette erano fatte per strabiliare. Ad esempio l’uso delle lingue di pappagallo sembra rispondere più all’esigenza di rappresentare la propria ricchezza con una strage di uccelli esotici che a quella di un particolare gusto.

Era invalso anche l’uso di creare artifici, che erano parte integrante della ricetta, così come racconta Petronio, descrivendo la cena di Trimalcione.

Ricetta ed “artifici” si confondevano: l’uso delle prugne e dei chicchi di melograno poste sotto una griglia con salsicce sfrigolanti per dare l'impressione delle braci accese; salsicce ed uccelletti utilizzati per riempire la pancia di vitelli e maiali; lepri che con l’aiuto di ali di pasta si trasformavano in rappresentazioni del cavallo alato Pegaso.


Ancor più che nella complessità delle ricette e nel numero delle portate, era nel servizio che appariva costante la ricerca dell’ artificio per strabiliare i commensali.

Trionfi di pietanze poggiati su piatti da portata figurati, come ad esempio asinelli di bronzo con le bisacce piene di olive, venivano portati in tavola con teatralità.

Nel banchetto di Trimalcione è possibile leggere la scena di due schiavi che pareva avessero litigato andando a prendere acqua. Il padrone fece da arbitro tra i due, ma né l’uno né l’altro accettarono la sentenza e la loro lite riprese a suon di bastonate che finivano sulle anfore che avevano in spalla. Costernati dalla tracotanza di quegli ubriachi i commensali seguivamo la contesa, sorpresi poi dall'apparire dai contenitori di ostriche e molluschi che sarebbero poi stati serviti.

Tra le bevande, a parte l’ uso dei vini più pregiati, era invalso l’uso di bere anche acqua ghiacciata:

"Gli uni bevono la neve, gli altri il ghiaccio, trasformando in piaceri della gola i tormenti delle montagne. Si conserva il freddo nella stagione calda, e i trovano procedimenti per mantenere gelata la neve nei mesi che non le sono propri; altri fanno bollire l’ acqua e poi subito la ghiacciano" (Plinio, XIX,19).